Patrizia Bonardi

 

2020 - Installazione –  Cera d’api pigmentata su legno - 22 elementi (100x10x3,5) 80 x 90 circa - complessivi 195x295x3,5 cm




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Mare bandiera - uno nessuno centomila

Se considero unità minima e sufficiente l’onda, l’onda stessa diventa bandiera, una parte per il tutto. Le onde che ho realizzato hanno infatti ciascuna le bande che contraddistinguono una bandiera e sette movimenti della curva con cui ho realizzato il mio primo Mare bandiera. Questa volta però le cromie delle bande saranno una diversa dall’altra e il risultato sarà di una frammentazione del concetto di bandiera.

Le onde vengono rese autonome e poste in verticale, quasi fossero “bandiere aste”.


La frammentazione mi interessa, sono alla ricerca di un superamento delle identità forti che si autocelebrano legandosi al concetto di bandiera.

Mare bandiera – uno nessuno e centomila è così moltiplicazione di cromie e un’attenuazione dell’identità monolitica, rivendicata dal concetto di bandiera e che in un certo senso anche il mio primo bassorilievo aveva sposato.

Il mare è di tutti e di nessuna delle persone che da millenni lo attraversano, ma è di ciascuna di loro rimasta in storie dimenticate o solo se potenti raccontate nei libri di storia. Fra i mari ad esempio il Mediterraneo è anche di tutti quelli che anche oggi cercano di attraversarlo poveri e con mezzi di fortuna.

Ma tornando a questa sorta di “onde bandiera” e ai loro centocinquanta quattro tonalità marine, Il mare qui è “Uno nessuno e centomila”, un luogo Pirandelliano dove mi sono tuffata in cromie che questa volta parlassero del moto ondoso in superficie e i suoi chiari giochi di luce in prossimità della battigia. Lavoro di speranza in una mostra che vuole essere aperta alla consolazione di tutti noi che siamo in acque pandemiche, acque che speriamo si plachino e che ci portino su rive consolanti ad ammirare un mare capace di cullarci con onde carezzevoli.


Patrizia Bonardi




Umanità del mare di Stefano Taccone


Il mare: cimentarsi nel parlare del mare per uno scrivente può produrre il medesimo effetto di colui che si pone davanti ad esso per contemplarlo. Un senso di sublime kantiano, in quanto terrore per l’impossibilità da parte dell’uomo di relazionarsi adeguatamente alla sua infinita grandezza e coscienza di comprendere comunque questo enorme dislivello. Dall’Odissea omerica a Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, dalla storia – biblica e non solo - del Diluvio a Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne – solo per citare casi stranoti – il mio dubbio è che l’area che ricoprirebbero tutte le pagine relative alla letteratura del mare sarebbe maggiore di quella del mare stesso, che – si badi – occupa circa due terzi della superficie terrestre.

Sul filo dell’ambivalenza del sentimento potremmo continuare a lungo. Il mare è infatti fin da tempi antichissimi una benedizione per la vita umana: il mare offre sostentamento attraverso la pesca; chi vive vicino al mare respira iodio e ne trae grande vantaggio per la salute; chi ha uno sbocco sul mare sviluppa l’attitudine al viaggio, quindi alla curiosità, all’apertura verso le culture altre, e ciò ci permette di risalire almeno ai fenici ed ai greci antichi. Tuttavia il mare è anche una grande minaccia, perché l’uomo resta un animale di terra – benché tutti gli esseri attualmente viventi, pare, discendano da esseri un tempo acquatici –, o al massimo di acqua dolce, e dunque abbandonare la terra ferma per un tempo troppo lungo lo espone a tutti gli enormi pericoli che il suo “nemico-amico” tipicamente gli procura. Il mito delle Colonne d'Ercole che ancora appena mezzo millennio fa mantiene tutto il suo portato di tabù come ha ben occasione di sperimentare un Cristoforo Colombo – e non a torto, visto che il capitano genovese sbaglia clamorosamente i calcoli e, con tutto il suo equipaggio, viene salvato soltanto dall’imponderabile presenza della pseudo-India americana – è forse quanto di più emblematico circa questo versante sinistro del mare – e non a caso Dante le sceglie come umiliazione, annichilimento della curiosità più spinta che sconfina nell’autodistruzione, cambiando il finale al racconto omerico di Ulisse.

Negli ultimi tempi probabilmente sono però due in particolare gli eventi disastrosi che il mare è in grado di evocare. Uno è legato al surriscaldamento globale, con annesso, minacciosissimo, scioglimento dei giacchiai e innalzamento delle maree – scenario peraltro non alieno da una morale che ricorda all’uomo il prezzo dell’infrazione di certi limiti, come per l’Ulisse dantesco. Esso è ampiamente aleggiante nella mostra collettiva La società del rischio, apertasi nell’autunno dello scorso anno sempre al BACS di Leffe, di cui Patrizia Bonardi è curatrice, prima ancora che una degli artisti in mostra; ed in questa ultima veste, con un’opera come Onde anomale (2019), non si lascia sfuggire l’occasione di affrontare tale eufemisticamente scottante questione a partire proprio da una scultura-mare. L’altro, forse ancor più direttamente connesso, almeno sul piano dell’immaginario, al mare, è il dramma dell’immigrazione nel Mediterraneo: donne e uomini – bambine e bambini! – esasperatamente in fuga da territori invivibili che spesso e volentieri trovano un muro di disumanità. E qualche volta anche muri letterali: si veda quello che proprio in queste ore sta costruendo la Spagna con il suo tanto decantato governo non solo genericamente di sinistra – PSOE –, ma con una forte componente di “sinistra radicale” – Podemos.

A questa seconda tragedia assistiamo reiteratamente da una decina d’anni, peraltro, con picchi estivi e non senza che essa trovi una triste controparte nell’aumento dei sentimenti xenofobi nella popolazione italiana ed europea in generale. Ed è appunto da una decina d’anni a questa parte che Patrizia non cessa di allarmare su di essa, tramite sculture-mare - come quella della mostra dell’anno scorso - quali Blue Wound (2011) – anche se in quest’opera il riferimento all’attualità è un attimino più rarefatto -, Mare zattera (2012), Mare prigione (2015) o anche opere di altro genere, Fiori migranti (2015) ad esempio. A questa seconda tragedia ella sembra riferirsi nel momento in cui realizza i suoi ondeggianti plasticismi multicolori. La tecnica della cera ad encausto le permette di raggiungere risultati che nella loro forza evocativa suscitano anche numerosi enigmi ed inciampi noetico-percettivi. Si tratta ad esempio di una scultura astratta o mimetica? Se ad un primo sguardo saremmo portati ad optare per la prima ipotesi, aiutati anche dai colori franti o – in altri frangenti - dal monocromo bianco, un titolo come Mare bandiera ci suggerisce se non qualcosa di opposto quanto meno qualcosa di diverso. Senz’altro insomma l’arricciarsi relativamente regolare del materiale richiama l’attorcigliarsi delle onde e – perché no? – anche i moti vari di una bandiera turbata dal vento, senonché il mimetismo si ferma appunto qui, non giungendo ad interessare i colori che a questo punto, in quanto pluralità di tinte richiama le bandiere dei vari popoli e nel contempo richiama le molteplici identità di chi solca il mare – e magari vi trova anche la morte. La policromia diviene insomma metafora di un mare come zona franca, come cerniera tra le terre che è di tutti – e non di nessuno.

Il rapprendersi di un materiale primariamente liquido – come liquida è l’acqua del mare – e più ancora la stessa operazione di sezionare il mare, e di scegliere non una sezione di mare-tavola, bensì una sezione di mare-onda, potrebbe funzionare inoltre come una sorta di espediente per esorcizzare quel carattere ambivalente del mare di cui si parlava prima, un tentativo di razionalizzarlo, renderlo più prossimo all’umano, toccabile. È possibile infatti toccare il mare? Sì e no, giacché, nel momento in cui allunghi il palmo della mano per lambire quella superficie che i tuoi occhi avrebbero preventivato di accarezzare, l’acqua già non è più la stessa, come ci insegna circa venticinque secoli fa Eraclito, pur adoperando piuttosto l’esempio del fiume. Qui l’onda è solidificata, precisamente collocata in un solo tratto del tempo e dello spazio, pur conservando un segno di potenzialità transeunte.

L’operazione della Bonardi assurge così a qualcosa di non troppo distante da quelli che sono stati – e sono – i tentativi di rendere visibile, disponibile, comprensibile il divino attraverso l’icona. L’arte assume così ancora una volta, come da secoli a questa parte, la sua funzione di punto medio, di terreno di incontro tra il dicibile e l’indicibile, di costante fallimento nella misura in cui essa mira ad una traduzione immediata del secondo – ché tradurre è sempre tradire! -, ma di sollievo nella misura in cui l’umano si accontenta di un veicolo non troppo eccedente la potenza delle sue facoltà che pure contenga in sé la traccia di un ulteriore.


COMUNICATO STAMPA

MARE BANDIERA
di Patrizia Bonardi
a cura di Stefano Taccone
dal 12 settembre 2020 al 28 febbraio 2021
BACS - Between Contemporary art and sociology Via Donizetti 42
Leffe (BG)

"La tecnica della cera ad encausto le permette di raggiungere risultati che nella loro forza evocativa suscitano anche numerosi enigmi ed inciampi noetico-percettivi. Si tratta ad esempio di una scultura astratta o mimetica? "
Stefano Taccone

La mostra personale Mare bandiera di Patrizia Bonardi al BACS di Leffe (BG) curata da Stefano Taccone inaugura sabato 12 settembre 2020. La mostra si apre in stile anti-covid senza assembramenti.
L’artista e il curatore dalle 14.30 alle 19 accompagneranno in piccoli gruppi, di massimo quattro persone, lungo Mare bandiera i visitatori che si prenoteranno entro le 12 di sabato 12 settembre al seguente link:

http://bit.ly/Prenotazioni_VisiteGuidate_BACS

Mare bandiera è un parlare di mare una volta di più in arte, come tensione insopprimibile verso una dimensione intimamente umana.
La vicinanza al mare da tempi antichissimi è una benedizione per la vita umana, nell’ambivalenza della grande minaccia che pur rappresenta per un animale di terra. Minaccia e possibilità visto che l’uomo ha sfidato se stesso e i proprio limiti, affrontando la navigazione. Dante mise all’inferno un inusitato Ulisse, mai arrivato ad Itaca, perché irrispettoso sfidò i limiti dati, oltrepassando le Colonne d’Ercole, quelle che si immaginava delimitassero il Mediterraneo verso l’oscuro Oceano.

Anche noi oggi come l’Ulisse dantesco, immersi nella scelleratezza del capitalismo, sfidiamo i limiti della natura. L’innalzamento globale delle temperature, il conseguente scioglimento dei ghiacciai e il progressivo innalzamento dei mari ora ci chiede il conto.

Patrizia Bonardi lavora da una quindicina d’anni fra attivismo e arti visive contemporanee in special modo su tematiche ambientaliste ed ha al suo attivo diverse sculture-mare. Con Mare Bandiera, per la prima volta, dedica una personale al mare, dopo aver chiuso, sempre al BACS di Leffe, in doppia veste di curatrice e artista la mostra collettiva La società del rischio.

Lì le sculture-mare di Bonardi formavano una grande installazione dal titolo Onde anomale 2019, pesanti e minacciose onde verticali che avevano perso i loro colori travolgendo la terra.

Ora con la mostra Mare Bandiera Bonardi torna al Mediterraneo ritrovandone i colori; riporta in mostra Colonne d’acqua 2017, una grande installazione con cui i nuovi lavori per Mare Bandiera sono in stretto dialogo. Le lucide cere d’api pigmentate, trattate secondo una tecnica ad encausto contemporaneo, sviluppata lungo gli anni da Bonardi, presentano ammalianti cromie marine.